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Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 04 aprile 2024 n. 1 Società cooperative – Determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) – Rilevanza ai fini IRAP dei ristorni

QUESITO

ALFA (di seguito, ”Istante” o ”Associazione di categoria”), associazione di coordinamento delle maggiori associazioni di rappresentanza, assistenza, tutela e vigilanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute (…), chiede un parere in merito alla determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (di seguito, ”IRAP”) di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, per le società cooperative.

L’Associazione di categoria dopo una ricostruzione delle caratteristiche civilistiche e dei chiarimenti di natura fiscale forniti dall’amministrazione finanziaria (a tal riguardo, si rinvia a quanto argomentato nell’istanza), rappresenta che l’Organismo Italiano di Contabilità (di seguito, ”OIC”) ha pubblicato alcuni emendamenti ai principi contabili nazionali, con l’intento di dirimere le incertezze interpretative nella redazione dei bilanci delle società mutualistiche e disciplinare alcuni istituti tipici delle società cooperative, compresi i c.d. ristorni.

In linea di principio, l’Associazione di categoria osserva come altresì confermato dalla prassi ministeriale che la modalità di attribuzione del vantaggio mutualistico dovrebbe essere neutrale rispetto al regime fiscale in capo alla società cooperativa.

L’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (come modificato dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388) stabilisce, infatti, che per le società cooperative e loro consorzi sono ammesse in deduzione dal reddito le somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati.

In particolare, sulla rilevanza anche ai fini dell’IRAP dei ristorni, l’Istante evidenzia che, anche in considerazione del perfetto ”parallelismo” tra basi imponibili a motivo della disposizione contenuta nell’articolo 11 bis del decreto legislativo n. 446 del 1997 e indipendentemente dalla modalità di contabilizzazione del ristorno, la deducibilità (anche) ai fini dell’IRAP era comunque garantita dalla possibilità/obbligo di apportare ai componenti negativi e positivi risultanti dal bilancio le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi (cfr., circolare n. 53/E del 2002).

A seguito dell’abrogazione del citato articolo 11 bis [a opera dell’articolo 1, comma 50, lettera g), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, a partire dal 1° gennaio 2008], a partire dal 1° gennaio 2008, si è posto il dubbio circa la deducibilità del ristorno dal valore della produzione ai fini IRAP nei casi in cui il trattamento contabile avesse portato a scegliere la soluzione dell’impiego degli ”utili”. Nella gran parte dei casi la prassi contabile, che lascia(va) ampi margini di scelta, ha per lo più tenuto ”indenne” da eventuali diverse interpretazioni in merito.

La definitiva pubblicazione dei richiamati emendamenti agli ”OIC 28 Patrimonio netto”, ”OIC 9 Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali” e ”OIC 12 Composizioni e schemi del bilancio di esercizio” (di seguito, rispettivamente, ”OIC 28”, ”OIC 9” e ”OIC 12”), tuttavia, rende necessario un chiarimento sulla questione, attesa la sempre più ”vincolante” natura dei principi contabili e, in alcuni casi, la difficoltà a individuare con certezza una ”obbligazione” nei confronti del socio.

Tutto ciò premesso, l’Associazione di categoria chiede se nel caso in cui il trattamento contabile determina la rilevazione dei ristorni alla stregua dell’impiego degli ”utili”, gli stessi concorrono alla formazione del valore della produzione netta di cui al decreto legislativo n. 446 del 1997.

Soluzione interpretativa prospettata

L’Associazione di categoria ritiene che la deducibilità ai fini IRAP dei ristorni, anche a seguito dell’abrogazione dell’articolo 11 bis del decreto legislativo n. 446 del 1997, sia garantita in ogni caso per diversi ordini di ragioni e, in particolare:

(a) dall’applicazione del c.d. principio di correlazione di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 446 del 1997, essendo i ristorni componenti economici che ”rettificano” elementi delle voci rilevanti del valore della produzione IRAP (diminuzione di ricavi o aumento dei costi) anche quando, in ottemperanza a corretti principi contabili, non ”possono” transitare da conto economico;

(b) in base all’interpretazione logico sistematica dell’articolo 12 del d.P.R. n. 601 del 1973, come confermata dalle circolari nn. 53/E del 2002 e 35/E del 2008, e ribadita dalle circolari nn. 36/E e 39/E del 2009;

(c) dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto Ministro dell’Economia e delle Finanze 8 giugno 2011 (di seguito, ”D.M. 8 giugno 2011”).

Parere dell’Agenzia delle Entrate

In via preliminare, si rappresenta che i ristorni costituiscono l’istituto giuridico attraverso il quale si realizza la «mutualità», rappresentando la modalità operativa con cui è attribuito il vantaggio economico al socio della cooperativa. Caratteristica peculiare del ristorno è che lo stesso è commisurato all’apporto dato dal socio all’attività mutualistica e, quindi, ai rapporti instaurati dal socio con la cooperativa di appartenenza.

L’articolo 2521, terzo comma, del codice civile prevede per le società cooperative e delle mutue assicuratrici che «[l]’atto costitutivo deve indicare: […] 8) le regole per la ripartizione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni». Inoltre, l’articolo 2545 sexies del codice civile dispone che: «[l]’atto costitutivo determina i criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici […] L’assemblea può deliberare la ripartizione dei ristorni a ciascun socio anche mediante aumento proporzionale delle rispettive quote o con l’emissione di nuove azioni, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2525, ovvero mediante l’emissione di strumenti finanziari».

L’articolo 3, comma 2, lettera b), della legge 3 aprile 2001, n. 142 stabilisce che possono essere deliberati ed erogati dall’assemblea trattamenti economici ulteriori per socio lavoratore: «[…] b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti stabiliti dall’articolo 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302 e successive modificazioni, ovvero mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all’articolo 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59».

Con il documento pubblicato il 9 giugno 2022, contenente alcuni emendamenti ai principi contabili nazionali necessari a disciplinare alcuni istituti tipici delle società cooperative (cfr., «Emendamenti ai principi contabili nazionali Specificità delle società cooperative» di seguito, ”Documento OIC”), l’OIC ha precisato che, in assenza di una specifica previsione normativa per la rilevazione dei ristorni, si è generata negli anni passati una «divergenza nella prassi» contabile (cfr., il paragrafo «Motivazione alla base delle decisioni assunte», pagg. 56 del Documento OIC). Infatti, il medesimo OIC precisa che:

alcune società cooperative contabilizzano i ristorni come costi (o rettifiche di ricavi) dell’esercizio in cui avviene lo scambio mutualistico;

altre contabilizzano i ristorni nell’esercizio in cui l’assemblea delibera la ripartizione del ristorno ai soci.

In considerazione delle richieste pervenute allo standard setter, quest’ultimo ha disciplinato il trattamento contabile dei ristorni optando per una soluzione principle based che individua quale elemento discriminante l’esistenza, o meno, di un’obbligazione derivante dall’atto costitutivo, dallo statuto e/o dal regolamento della società cooperativa alla data di chiusura dell’esercizio.

In particolare, con gli emendamenti apportati all’OIC 28, sono stati inseriti i seguenti paragrafi:

«23A. Per le società cooperative, i ristorni, di cui all’articolo 2545 sexies del codice civile, sono iscritti tra i debiti quando, nel rispetto dei criteri previsti dall’atto costitutivo, dallo statuto e/o dal regolamento, di cui all’articolo 2521 del codice civile, sussiste un’obbligazione alla data di chiusura dell’esercizio in capo alla società alla ripartizione dei ristorni. La contropartita del debito è imputata a conto economico in base alla tipologia del ristorno come rettifica di ricavo o come costo in base alla sua natura.

23B. Se alla data di chiusura dell’esercizio non sussiste un’obbligazione alla ripartizione dei ristorni ai soci ai sensi del paragrafo precedente, i ristorni sono contabilizzati secondo le modalità previste per la distribuzione dell’utile nel momento in cui, in conseguenza della delibera assunta dall’assemblea dei soci, sorge l’obbligo in capo alla società alla ripartizione dei ristorni».

In altri termini, come precisato dall’OIC, nel caso in cui lo statuto o il regolamento della società cooperativa:

non prevedono un obbligo a erogare ai soci il ristorno, quest’ultimo sarà contabilizzato nell’esercizio in cui l’assemblea dei soci delibera la sua attribuzione ai soci, al pari di una distribuzione di utile;

prevedono un obbligo a erogare il ristorno, lo stesso sarà rilevato, quale componente di conto economico, nell’esercizio in cui è avvenuto lo scambio mutualistico con il socio cooperatore.

Da quanto rappresentato nel paragrafo «Motivazione alla base delle decisioni assunte» (pagg. 56) del Documento OIC, inoltre, proprio in relazione all’ipotesi di ristorni rilevati alla stregua di una distribuzione di utili emerge che «[…] a differenza dei dividendi, i ristorni non sono proporzionali alle quote del capitale conferito, ma proporzionali agli scambi intervenuti tra cooperativa e socio, e sono determinati con riferimento alle sole transazioni intercorse con i soci».

Sulla base di quanto sopra descritto, si rileva che, nonostante l’atto costitutivo debba indicare i criteri per la ripartizione dei ristorni (e le regole per la ripartizione degli utili), non è previsto alcun obbligo di distribuzione ex lege con la conseguenza che sul piano civilistico, in linea di principio, si è in presenza di un componente «reddituale» la cui funzione è quella di attribuire al socio della cooperativa il vantaggio mutualistico, rettificando i costi/ricavi rilevati al momento dall’apporto effettuato dal medesimo socio (cui risulta strettamente commisurato) che, in talune ipotesi, si presenta incerto nell’an e/o nel quantum al termine dell’esercizio.

Questi ultimi requisiti possono considerarsi soddisfatti, a priori, nell’ipotesi in cui lo statuto o il regolamento prevedano un obbligo a erogare il ristorno ai soci ovvero, più ”realisticamente”, nell’esercizio in cui l’assemblea, valutata la presenza di un avanzo di gestione, deliberi l’attribuzione del ristorno ai soci in luogo del mantenimento di tale avanzo nell’economia della cooperativa per autofinanziarsi.

Nell’ipotesi in cui lo statuto o il regolamento della società cooperativa non disponga alcun obbligo di distribuzione deve concludersi che la rilevazione contabile dei ristorni tra le voci dello stato patrimoniale (come rettifica degli utili/perdite portati a nuovo) non determini una modifica della qualificazione dell’operazione riguardante l’attribuzione del beneficio mutualistico mediante la tecnica dei ristorni (identificabile sulla base del fenomeno giuridico-formale).

Il ristorno rilevato nello stato patrimoniale, dunque, mantiene la ”natura” di componente «reddituale» che rettifica i costi/ricavi rilevati al momento dall’apporto effettuato dai soci della cooperativa, assumendo una qualificazione diversa rispetto agli utili prodotti dalla stessa cooperativa e, sulla base delle previsioni contabili contenute nell’OIC 28 emendato, deve essere rilevato al momento in cui è adottata la relativa delibera (poiché in tale esercizio diviene certo nell’an e nel quantum).

Ciò premesso sul piano civilistico-contabile, occorre considerare che il trattamento fiscale delle somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (i.e. ristorni) per le società mutualistiche è disciplinato con alcune disposizioni ad hoc (cfr., gli articoli 11, 12 e 14 del d.P.R. n. 601 del 1973, l’articolo 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, e l’articolo 6 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge 15 giugno 2002, n. 112).

In considerazione di tali previsioni, con la circolare n. 35/E del 2008 è stato chiarito che i ristorni sono configurati come:

somme attribuite ai soci delle cooperative di produzione e lavoro, sotto forma di integrazione retributiva, erogati in sede di approvazione del bilancio d’esercizio in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi [articolo 3, comma 2, lettera b), della legge n. 142 del 2001];

somme attribuite dalle società cooperative e loro consorzi ai propri soci a titolo di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (articolo 12 del d.P.R. n. 601 del 1973).

Nel medesimo documento di prassi, si precisa che, in linea di principio, a prescindere dalla modalità di attribuzione del vantaggio mutualistico, la tassazione in capo alla cooperativa dovrebbe essere identica. Ne consegue che i ristorni concretamente possono essere dedotti sia mediante imputazione diretta al conto economico dell’esercizio di competenza, sia attraverso una variazione in diminuzione del reddito imponibile (sempre con riferimento all’esercizio di competenza) considerando i ristorni stessi come impiego degli utili stessi (cfr., circolare n. 53/E del 2002, paragrafo 2).

Con la circolare n. 53/E del 2002 è stato, altresì, chiarito che le somme erogate a tale titolo sono deducibili nell’esercizio con riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito presi a base di commisurazione dei ristorni. Tale deducibilità prevista in ogni caso per tutte le società cooperative è vincolata (nei casi in cui non sia applicabile la previsione di cui all’articolo 12 del d.P.R. n. 601 del 1973) all’oggettiva determinabilità dell’importo del ristorno medesimo entro la data di chiusura dell’esercizio, in coerenza con le disposizioni dell’articolo 109 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, ”TUIR”).

Per l’individuazione degli aspetti fiscalmente rilevanti del concetto di ristorno, ed in particolare sulle modalità di quantificazione, infine, si rinvia a quanto precisato nella risoluzione n. 172 del 2002.

In sintesi, a seguito dei predetti chiarimenti di prassi, ferma restando la sussistenza dei requisiti di certezza e oggettiva determinabilità dell’articolo 109 del TUIR, i ristorni concorrono alla determinazione della base imponibile IRES sia se rilevati al conto economico, sia se imputati come distribuzione di utili.

Le modifiche contenute nel Documento OIC relative al principio contabile OIC 28 non determinano effetti significativi in merito alle modalità con cui i ristorni concorrono alla formazione della base imponibile IRES, in considerazione dell’attualità dei chiarimenti già forniti. Resta esclusivamente da precisare che per le società cooperative che rientrano tra i soggetti OIC adopter diversi dalle microimprese di cui all’articolo 2435 ter del codice civile che non hanno optato per la redazione del bilancio in forma ordinaria, l’imputazione temporale dei ristorni rileva secondo le previsioni di cui all’articolo 83 del TUIR.

Con particolare riferimento alle modalità di determinazione della base imponibile IRAP, invece, si ritiene opportuno precisare quanto segue.

In primis, si rammenta che il principio generale che sorregge il relativo sistema impositivo, così come ridisegnato dalla legge finanziaria 2008 (riforma IRAP), è quello della «presa diretta da bilancio» delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi.

In particolare, l’abrogazione dell’articolo 11 bis del decreto legislativo n. 446 del 1997 che riconosceva la rilevanza nell’IRAP delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito ha determinato lo ”sganciamento” del tributo regionale dall’IRES rendendo, in tal modo, le modalità di calcolo della base imponibile dell’IRAP più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.

Ne consegue che i suddetti chiarimenti che riguardando l’applicazione dell’articolo 12 del d.P.R. n. 601 del 1973 non possono essere automaticamente trasposti dall’IRES alla determinazione del tributo regionale.

Quindi, nell’ipotesi in cui sussiste un’obbligazione alla data di chiusura dell’esercizio in capo alla società cooperativa alla ripartizione dei ristorni, la rilevanza ai fini dell’IRAP diviene conseguenza del loro transito in una delle voci rilevanti ai fini di detto tributo; ciò in quanto le indicazioni contenute nel Documento OIC prescrivono che la contropartita del relativo debito è imputata a conto economico in base alla tipologia del ristorno come rettifica di ricavo o come costo in base alla sua natura (cfr., l’emendato par. 23A dell’OIC 28).

Diversamente, quando lo statuto e/o il regolamento delle società cooperative non prevedono un’obbligazione alla ripartizione dei ristorni ai soci, la rilevazione nello stato patrimoniale alla stregua di una distribuzione dell’utile, non consente di soddisfare, in linea di principio, il transito dei ristorni in una delle voci di conto economico rilevanti ai fini del tributo regionale (cfr., l’emendato par. 23B dell’OIC 28).

In relazione a detta tipologia di ristorni, il principio secondo cui assumono rilevanza, indipendentemente dalla classificazione di bilancio, le componenti reddituali correlate a componenti che hanno concorso o che concorreranno alla formazione della base imponibile di precedenti esercizi o di esercizi futuri (i.e., il principio di correlazione IRAP), non può trovare applicazione poiché detti ristorni, come già evidenziato, vengono rilevati tra le voci dello stato patrimoniale (e, quindi, non sono classificati in altre voci del conto economico).

Pertanto, occorre far riferimento alle previsioni dell’articolo 2, comma 2, del D.M. 8 giugno 2011 [applicabile ai soggetti OIC in conseguenza del rinvio contenuto nell’articolo 2, comma 1, lettera b), n. 1, del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 3 agosto 2017, concernente «Disposizioni di coordinamento per la determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP dei soggetti ITA GAAP e dei soggetti IAS adopter, ai sensi dell’art. 13 bis del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19»] secondo le quali «[i] componenti fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni del decreto IRAP, imputati direttamente a patrimonio netto o al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo (OCI), concorrono alla formazione della base imponibile IRAP al momento dell’imputazione a conto economico. Se per tali componenti non è mai prevista l’imputazione a conto economico, la rilevanza ai fini IRAP è stabilita secondo le disposizioni applicabili ai componenti imputati al conto economico aventi la medesima natura».

Alla luce di tale previsione, dunque, i ristorni contabilizzati alla stregua di distribuzioni di utili, mantenendo la loro originaria ”natura”, concorrono alla formazione della base imponibile IRAP.

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